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[Diario di un viaggio a piedi - Calabria 1847 | Edward Lear]
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Posté: Jeu 02 Mai 2024 22:23
MessageSujet du message: [Diario di un viaggio a piedi - Calabria 1847 | Edward Lear]
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Entre le 25 juillet et le 5 septembre 1847, le peintre paysagiste anglais Edward Lear, accompagné de son ami John Proby, du guide local Ciccio et d'un vieux cheval fatigué pour transporter les bagages, entreprend un périple pédestre de la partie la plus méridionale de la Calabre, pointe extrême de la botte italienne, afin de croquer des sites. Marcheur chevronné, connaissant déjà bien l'Italie où il s'établira jusqu'à la fin de ses jours (à Rome, puis à San Remo), sa préférence va aux villages de montagne et aux chemins escarpés plutôt qu'aux paysages côtiers. Dans les lieux très reculés voire carrément inaccessibles et inhospitaliers qu'il parcourt, il ne peut s'assurer le gîte que grâce à des lettres de recommandation qu'un ami fonctionnaire de l'administration basé à Reggio a adressées aux notables, petits propriétaires terriens et autres nobliaux locaux, dont il se délecte à caricaturer le caractère et la qualité souvent piètre, rustique ou bien apprêtée de leur hospitalité... Par ailleurs, on reconnaît la plume du peintre aux descriptions de l'environnement qu'il traverse, foisonnantes de détails visuels des paysages minéraux, végétaux et architecturaux. Au fur et à mesure que les trois compères avancent dans ces montagnes roides et ces falaises abruptes, le long des lits de torrents asséchés, parmi les cactus, les oliviers ou dans les bois, que les deux Anglais peignent – 16 splendides lithographies sont reproduites dans le livres, avec tous les détails menus que le style « pré-photographique » des paysagistes britanniques de l'époque imposait – ils sont accueillis de plus en plus rudement, et ils font l'objet d'une méfiance et de soupçons croissants. En effet, sans qu'ils s'en rendent compte, une révolte populaire est en train de se préparer dans les terres du Royaume de Naples, et l'on est toujours enclin à regarder les Anglais comme des espions, même si/surtout s'ils se présentent avec des références d'un fonctionnaire de rang... En fin de comptes, une improbable insurrection d'allure picaresque les surprend dans la capitale calabraise au retour de leur boucle, et les empêche de poursuivre leur excursion plus au nord. Mais le ton de cet excipit (cf. cit 7) est complètement assorti au reste de la prose du texte.
Les avatars de celui-ci méritent aussi d'être rappelés. Edward Lear avait pour habitude, à l'évidence, de rédiger des « Journals » de ses expéditions, dont certains furent publiés de son vivant sous forme de « Landscape Painter's Guide », c-à-d. l'ancêtre des guides de voyage. Par ailleurs, il fut aussi l'auteur de livres humoristiques, dont celui qui porte le titre de _Nonsense_ ainsi que de quelques essais d'ornithologie. Mais cet ouvrage-ci, dans la présente édition italienne, eut une histoire à part. En 1966, un certain Albert Spencer Mills, lui aussi établi en Italie et ayant épousé une Calabraise, visite la célèbre Tate Gallery de Londres, et il est frappé par un tableau portant l'indication : « Vue de Reggio de Calabre et du Détroit de Messine peint par Edward Lear, 1852 », remonte à ce journal de randonnée qu'il décide de traduire en italien, et le fait publier et rééditer dans les années suivantes par des éditeurs calabrais qui n'y voient qu'un intérêt local et folklorique. Plusieurs éditions toutes aussi confidentielles les unes que les autres s'ensuivent, et la raison pour laquelle ce livre de 1976 se trouve entre mes mains n'est que très personnelle, étant donné que l'un des hôtes de Lear durant sa marche ne fut autre que le grand-père de mon grand-père paternel, dont le peintre se moque beaucoup plus gentiment qu'il ne le fait d'autres personnages... Petite vanité que de retrouver ainsi le nom d'un de ses aïeux, d'un véritable ancêtre qui fait l'objet de plusieurs mythes transmis oralement en famille, dans un texte de 1847 !



Cit. :


1. « La serata si chiuse con una cena molto squisita, quando, oltre alla graziosa moglie del nostro ospite, la figlia maggiore del loro aiutante raggiunse la nostra tavola. Le maniere cortesi della nostra ospite, la sua organizzazione domestica ci hanno sorpreso di meno quando abbiamo appreso che ella era livornese di nascita, e che aveva inoltre visitato Malta, Costantinopoli e vari altri luoghi del mondo, essendo andata a raggiungere per un certo tempo suo padre in molti posti remoti, dove egli si era rifugiato da Livorno per una causa che Donna Margherita Pannuti tranquillamente chiamò "una piccola disgrazia", cioè un omicidio.
A notte la luna era piena ; la grande vallata era silenziosa, a parte lo scricchiolio di miriadi di cavallette ; una regione solitaria, ma maestosamente bella. » (pp. 38-39)

2. « Domandato a Ciccio qualcosa circa gli attributi caratteristici del villaggio e dei suoi abitanti, non si poteva capire altro da lui salvo che "Son Turchi" […].
Ahimé ! il padrone era via […] e la nostra apparizione mise la sua vecchia sorella in uno stato così allarmato che subito abbiamo percepito che tutte le speranze di alloggio e di cena erano svanite. Ci siamo fermati umilmente sugli scalini di casa della vecchia signora pregandola solo di leggere la lettera che avevamo portato, ma lei, no ! Lei non aveva nulla da dirci. "Sono femmina", "Sono femmina", ha costantemente dichiarato : - fatto che non ci siamo mai avventurati di dubitare, a dispetto del suo aspetto trasandato e della sua bruttezza – "Sono femmina, e non so niente". Nessuna persuasione poteva calmarla e così siamo stati forzati di voltare le spalle con fame e disgusto. Così pure Ciccio, che solamente prese la sua piccola pipa dalle labbra e disse : "Sono Turchi". » (pp. 42-43)

3. « La più grande penitenza di questa vita errante è lo stato di esaurimento e di stanchezza con cui uno arriva la sera al suo rifugio ; e siccome ci si sente obbligati di dimostrare di essere cortesi per un certo tempo con chi ci intrattiene, la lotta tra il senso di dovere e un'opprimente inclinazione al sonno è molto penosa. Questa buona gente, poi, persiste a ritardare la cena (in maniera da prepararne una buona) fino a che sei ridotto (prima di andare a tavola) in uno stato di tormento e quasi di disperazione, nella protratta lotta tra la fame, Morfeo e la civiltà. » (p. 45)

4. « SONETTO

Salve genio d'Albione ! oh, com'è bello
Veder natura su le pinte carte
Figlie del tuo pensier, del tuo pennello
Dal vero tratte con mirabil arte.
Io là veggo le rocce ed il castello,
Le case, il campanile, e quasi in parte
Tutta la patria mia : e il poverello
Che dal monte per giù vi si diparte.
E se per balze e valli, e boschi ombrosi,
Molto questa contrada all'arte offria
Italia è bella pur nei luoghi ascosi.
E lì l'amico lasci, cui il desio
Di memoria serbar pei virtuosi
Gli scalda il cor, perché desir di Dio.

(All'egregio disegnatore paesaggista Sig. Edoardo Lear, nel dipingere delle vedute nella città di Bova). » (pp. 50-51)

5. « Lui veniva dalla villa, una villetta, una vigna, una vecchia proprietà della sua famiglia – Giovanni Garrolo, Gasparo Garrolo, Luca Garrolo, Stefano Garrolo – lui era arrivato proprio ora, in questo momento : era venuto con il mulo, con due muli, con la Contessa, l'amabile Contessa, erano venuti piano, piano, piano – dato che la Contessa era in stato interessante – forse oggi, ma sperava di no ; lui avrebbe voluto presentarcela per fare la sua conoscenza ; il suo nome era Serafina ; era intellettuale e attraente ; i muli non hanno mai inciampato ; lui aveva messo ai muli la gualdrappa di velluto cremisi con la corona dorata, ricamata con il nome Garrolo, Garrolo, Garrolo, Garrolo, ai quattro angoli ; lui aveva letto alla Contessa un'ode sull'antica Locris durante il viaggio, lei si era divertita, un'ode latina ; la Contessa amava il latino ; la Contessa aveva avuto sei figli, tutti in Paradiso, grande perdita, ma tutto per il meglio. "Volete della neve e del vino ? Porta della neve, porta del vino". Avrebbe voluto leggerci una pagina, due pagine, tre – Locri Opuntii, Locri Epizephyrii, Normanni, Saraceni – fichi d'India e granturco indiano – Giulio Cesare e i Druidi, Dante, Shakespeare – bachi da seta e more di gelso – rendite e tasse, animali antidiluviani, Repubblica Americana, astronomia e molluschi. Come un corso di un torrente era la favella volubile del Conte Garrolo, e tuttavia non abbiamo avuto una distinta cognizione di ciò che dicesse, tanto rapido era il miscuglio dei soggetti nella sua eloquenza. » (pp. 77-78)

6. « Ma le maniere del nostro ospite erano brusche, inquiete e ansiose, e la sua domanda frequente se noi avessimo sentito nulla da Reggio, ecc., ecc., mi ha dato una impressione più forte che mai, che qualche movimento politico stava per aver luogo. Per quanto molto abituato a sentire ciò, che qualche cambiamento di governo stava per avvenire nel Regno di Napoli, e, avendo preso l'abitudine studiata di rimanere il più possibile nell'ignoranza di qualunque atto o espressione politica, sono quasi arrivato ora a questa conclusione, come avevo spesso pensato prima, circa la riservatezza sospettosa di Don Vincenzo, e forse anche quella del Barone Rivettini, che provenissero da qualche falso rumore.
[…]
Prima di cena avevamo passato a penna i nostri disegni nella camera di Don Vincenzo, che sembrava molto perplesso del nostro lavoro professionale, e della nostra ostinata ignoranza, vera o falsa, circa gli eventi politici. Avevamo adottato recentemente questa calma maniera di passare le nostre serate, come un rifugio passivo dalle persecuzioni di continue interrogazioni ; l'interesse che la famiglia aveva dei nostri schizzi occupava completamente la loro attenzione. » (pp. 123-124)

7. « […] Ero ancora più impaziente di notare che la filosofia di Ciccio era sempre meno invulnerabile contro il compito di nascondere la sua agitazione, cosa che per un uomo così abitualmente tranquillo era sorprendente.
All'una di notte raggiungemmo Reggio e qui il segreto si è chiarito da sé subito.
Molto strana era la scena ; tutta la tranquilla città er a illuminata, e ogni casa era illuminata ; né donne, né bambini erano visibili, ma truppe di uomini in gruppi di venti o trenta, tutti armati, e preceduti da bande musicali e stendardi con scritto "Viva Pio IX" o "Viva la Costituzione", occupavano la strada principale da un lato all'altro.
"Cosa c'è stato, Ciccio ?, ho detto.
- O non vedete ?, disse l'infelice mulattiere, con un gemito soffocato. O non vedete ? È la rivoluzione ! […]"
Nessuno si è occupato di noi mentre passavamo lungo la strada, e subito siamo arrivati all'Hotel Giordano. Le porte erano sbarrate, né mi fu facile ottenere ospitalità ; dopo un po' di tempo il cameriere è apparso, ma era completamente ubriaco.
"Il Signor Proby è arrivato con la barca da Messina ? - ho chiesto.
- Oh che barca ! Oh che Messina ! Oh che bella rivoluzione ! Ahi ! Ahi ! Orra birra burra – ba !"- è stata la risposta.
- Prenda le chiavi della mia camera – ho detto – voglio prendere la mia roba.
- Oh che chiavi ! Oh che camera ! Oh che roba ! Ahi ! Ahi !
- Ma dove sono le chiavi ? - ho ripetuto.
- Non ci sono più chiavi, – ha gridato l'esuberante cameriere – non ci sono più passaporti, non ci sono più Re, più legge, più giudice, più niente, non c'è altro che amore e libertà, l'amicizia e la Costituzione – eccovi le chiavi ! […]". (pp. 150-151)

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